IL TRIBUNALE

    Riunito  in  Camera  di Consiglio nella causa iscritta al N.R.G..
22722/2004;
    Letti gli atti, osserva

                              In fatto

    Con  citazione  regolamente  notificata  in  data  12 luglio 2004
Cantore  Gerardo  Maria e Boccaccino Giuliana convenivano in giudizio
il  San  Paolo  Banco  di  Napoli  S.p.A.  -  in  persona  del legale
rappresentante  pro tempore - chiedendo in via principale che l'adito
tribunale dichiarasse la nullita' del contratto stipulato verbalmente
in  data  19 febbraio 2002 e del correlato ordine di acquisto recante
la  medesima data del 19 febbraio 2002, con la condanna del convenuto
Istituto  alla  integrale  restituzione della somma di Euro 20.000,00
oltre interessi, versata da essi attori a titolo di corrispettivo per
l'acquisto di obbligazioni Giacomelli.
    A sostegno della invocata nullita' gli istanti deducevano - oltre
alla    violazione   dell'obbligo:   a)   di   fornire   informazioni
sull'investimento  proposto (art. 21, comma 1, lett. a) del d.lgs. 24
febbraio 1998, n. 58 - c.d. t.u.i.f. -); b) di acquisire informazioni
dai  clienti  prima di proporre l'investimento (art. 21, lett. b) del
t.u.i.f. e dell'art. 28, comma 1, lett. a) del regolamento Consob del
1°  luglio  1998, n. 11522); c) di consegnare il documento sui rischi
generali (art. 28, comma 1, lett. b) del citato regolamento Consob) -
la  mancanza  di  forma  ex art. 23 t.u.i.f. e 30 reg. Consob, ed, in
ogni caso, la nullita' del negozio ai sensi dell'art. 1418 c.c.
    Il Sanpaolo Banco di' Napoli si costituiva ed invocava il rigetto
delle  avverse  domande  eccependone  l'infondatezza  in  fatto  e in
diritto.
    Alla  udienza di prima comparizione, l'adito giudice si riservava
e,  con  ordinanza  depositata  il  17  novembre 2004, disponeva - in
applicazione  del  d.lgs. n. 5 del 17 gennaio 2003 - il mutamento del
rito  e  contestualmente  ordinava  la  cancellazione della causa dal
ruolo  (con  la  conseguente  decorrenza  dalla  comunicazione  della
medesima dei termini di cui all'art. 6, d.lgs. citato).
    Con  istanza  depositata  il 24 maggio 2005 gli attori chiedevano
l'immediata  fissazione  d'udienza  ai  sensi degli artt. 8 e ss. del
d.lgs. n. 5/2003.
    Con  decreto  del  21  luglio  2005 il giudice relatore designato
fissava  l'udienza  collegiale  ai  sensi  dell'art. 12  del  decreto
legislativo citato indicando alle parti, in particolare, la questione
relativa  alla  costituzionalita'  dello  stesso  decreto legislativo
n. 5/2003 secondo le cui norme era stato instaurato il processo.
    Alla  fissata  udienza  del  21  settembre  2005,  sulla  dedotta
questione  di  costituzionatita', il legale degli attori si rimetteva
mentre    quello    del    convenuto    aderiva    alla   prospettata
incostituzionalita'.
    Il tribunale si riservava.

                          I n d i r i t t o

    La   questione   di   costituzionalita'   va  affrontata  in  via
preliminare rispetto alle altre questioni.
    L'art. 12 della legge di delega n. 366/2001 prevede che:
        «1.  -  Il  Governo e' inoltre delegato ad emanare norme che,
senza  modifiche della competenza per territorio e per materia, siano
dirette  ad  assicurare  una  piu'  rapida ed efficace definizione di
procedimenti nelle seguenti materie:
          a) diritto societario, comprese le controversie relative al
trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;
          b)  materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni
in   materia  di  intermediazione  finanziaria,  di  cui  al  decreto
legislativo  24  febbraio  1998, n. 58, e successive modificazioni, e
dal  testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui
al  decreto  legislativo  1°  settembre  1993,  n. 385,  e successive
modificazioni.
        2.  - Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di
cui  al comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali,
che in particolare possano prevedere:
          a)  la  concentrazione  del procedimento e la riduzione dei
termini processuali;
          b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di
cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali  di  giudizio  monocratico in considerazione della natura
degli interessi coinvolti;
          c)  la  mera  facoltativita' della successiva instaurazione
della  causa  di  merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso
all'esito  di  un  procedimento  sommario cautelare in relazione alle
controversie  nelle  materie  di  cui  al comma 1, con la conseguente
definitivita'   degli   effetti   prodotti  da  detti  provvedimenti,
ancorche'  gli  stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri
eventuali giudizi promossi per finalita' diverse;
          d)   un  giudizio  sommario  non  cautelare,  improntato  a
particolare   celerita'   ma   con  il  rispetto  del  principio  del
contraddittorio,  che  conduca  alla  emanazione  di un provvedimento
esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato;
          e)  la  possibilita' per il giudice di operare un tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali,  assegnando eventualmente un termine per la modificazione
o  la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso
di    mancata    conciliazione,    tenendo    successivamente   conto
dell'atteggiamento  al  riguardo  assunto  dalle  parti ai fini della
decisione sulle spese di lite;
          f)  uno  o  piu'  procedimenti  camerali, anche mediante la
modifica degli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile ed
in   estensione   delle   ipotesi  attualmente  previste  che,  senza
compromettere  la  rapidita'  di  tali  procedimenti,  assicurino  il
rispetto dei principi del giusto processo;
          g)  forme  di  comunicazione  periodica  dei  tempi medi di
durata   dei  diversi  tipi  di  procedimento  di  cui  alle  lettere
precedenti  trattati  dai  tribunali,  dalle Corti di appello e dalla
Corte di cassazione».
    In  relazione alla struttura che il legislatore delegato e' stato
chiamato a delineare per il processo ordinario - e con esclusione del
riferimento  ai  principi  dettati  in tema di giudizio cautelare che
concernono  profili  non  rilevanti in questo giudizio - dal disposto
dell'art. 12  della  legge  n. 366  del  2001  sono  estrapolabili  i
seguenti   principi:   1)   divieto   di  modifica  della  competenza
territoriale  e  per  materia;  2)  necessita' di assicurare una piu'
rapida  ed  efficace  definizione di procedimenti; 3) possibilita' di
dettare  regole processuali, che in particolare possano prevedere: a)
la  concentrazione  del  procedimento  e  la  riduzione,  dei termini
processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie
di  cui  al  comma  1  al tribunale in composizione collegiale, salvo
ipotesi  eccezionali  di giudizio monocratico in considerazione della
natura  degli  interessi coinvolti; c) la possibilita' per il giudice
di  operare  un  tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone
espressamente  gli  elementi  essenziali  assegnando eventualmente un
termine  per  la modificazione o la rinnovazione di atti negoziali su
cui  verte  la  causa  e,  in  caso di mancata conciliazione, tenendo
successivamente  conto  dell'atteggiamento  al riguardo assunto dalle
parti ai fini della decisione sulle spese di lite.
    Nella legge n. 366/2001 il legislatore, dunque, si e' limitato ad
indicare  le  materie  nelle  quali  il  governo  poteva intervenire,
l'obiettivo  di  rendere  piu'  rapida ed efficace la definizione dei
procedimenti, il divieto di modificare la competenza per territorio e
materia,   la   tendenziale   collegialita'   del   procedimento,  la
possibilita'  di  valutare  l'atteggiamento  delle  parti  in sede di
tentativo  di  conciliazione  e la possibilita' di dettare regole che
favorissero   la  riduzione  dei  termini  e  la  concentrazione  del
procedimento.
    L'assoluta  genericita'  dell'indicazione relativa alle modalita'
da  seguire,  per la realizzazione dell'obiettivo dichiarato di voler
assicurare  una  piu'  rapida ed efficace definizione di procedimenti
nelle  materie  individuate,  ha  di  fatto consentito al legislatore
delegato   di   creare   un   nuovo  modello  processuale  che  esula
completamente  dallo  schema  del procedimento ordinario disciplinato
dal codice di procedura civile.
    A  fronte della situazione di fatto venutasi a creare che vede da
un lato una legge delega che nulla o quasi dice in ordine ai principi
direttivi  che  avrebbero  dovuto  ispirare il legislatore delegato e
dall'altro   un   decreto  legislativo  che  crea  un  nuovo  modello
processuale,  sovvertendo,  nelle  materie  indicate  dalla  legge di
delega,  i  tradizionali  canoni  che governano il processo civile, a
questo  collegio  si  pongono  due opzioni interpretative che in ogni
caso  conducono  ad  un  dubbio  di  costituzionalita'  in  relazione
all'art. 76 della Costituzione.
    La  prima  opzione  interpretativa,  sia  in ordine logico sia di
scelta,  che  questo  collegio  reputa  piu' consona allo spirito del
complesso  normativo  costituito  dalla  legge  delega  e dal decreto
legislativo,  e'  quella di ritenere che il legislatore delegante non
abbia  indicato  con  sufficiente determinazione i principi e criteri
normativi  che  avrebbero  dovuto  guidare  l'operato del legislatore
delegato  e che quindi l'art. 12 della legge n. 366/2001 non soddisfi
il  precetto  dell'art. 76  della Costituzione che consente la delega
dell'esercizio  della  funzione  legislativa  al  Governo solo previa
determinazione di principi e criteri direttivi.
    Non  ignora  questo  tribunale  come, per giurisprudenza costante
della  Corte costituzionale, i principi direttivi che l'art. 76 Cost.
richiede  alla legge delega non escludono la possibilita' di lasciare
al   legislatore   delegato  un  ampio  margine  di  discrezionalita'
nell'individuazione  delle  modalita'  attraverso le quali realizzare
gli  obiettivi prefissati dalla legge delega. Il potere attribuito al
legislatore   delegato,   pero',  per  quanto  ampio,  non  puo'  mai
travalicare  il  limite della discrezionalita' nel senso che, come la
Corte  costituzionale  insegna, sin da risalenti pronunzie, «la legge
delegante   va   considerata   con   riferimento  all'art.  76  della
Costituzione,  per  accertare se sia stato rispettato il precetto che
ne  legittima  il processo formativo. L'art. 76 indica i limiti entro
cui  puo'  essere  conferito  al  Governo  l'esercizio della funzione
legislativa.  Per quanto la legge delegante sia a carattere normativo
generale, ma sempre vincolante per l'organo delegato, essa si pone in
funzione   di   limite   per  lo  sviluppo  dell'ulteriore  attivita'
legislativa  del  Governo. I limiti dei principi e criteri direttivi,
del tempo entro il quale puo' essere emanata la legge delegata, degli
oggetti  degli interventi da un lato servono a circoscrivere il campo
della  delegazione  si'  da evitare che la delega venga esercitata in
modo  divergente  dalle  finalita'  che  la determinarono; dall'altro
devono  consentire  al potere delegato la possibilita' di valutare le
particolari  situazioni giuridiche della legislazione precedente, che
nella  legge  delegata deve trovare una nuova regolamentazione. Se la
legge  delegante  non  contiene, anche in parte, i cennati requisiti,
sorge   il  contrasto  tra  norma  dell'art. 76  e  norma  delegante,
denunciabile  al sindacato della Corte costituzionale, s'intende dopo
l'emanazione  della  legge  delegata»  (cosi'  Corte cost. 26 gennaio
1957, n. 3).
    In  particolare,  per  quel  che  rileva in questa sede, nulla ha
detto  la legge delega in ordine allo schema processuale da adottare,
lasciato   non   alla   scelta   discrezionale  ma  all'arbitrio  del
legislatore  delegato,  come  emerge  chiaramente  dal  contenuto del
decreto  legislativo che ha creato un nuovo modello di processo al di
fuori delle regole dettate dal codice di procedura civile.
    Il  «rito  societario»  costituisce  infatti, come indicato dalla
stessa  relazione  della  commissione ministeriale, un vero e proprio
nuovo  modello  processuale,  che  si  distacca  volutamente  sia dal
modello  processuale  del 1942, sia da quello del processo del lavoro
del  1973  ed  infine  anche da quello delineatosi con la riforma del
1990.
    In  particolare,  si tratta di un rito di cognizione nel quale la
prima  fase  del  processo  avviene  senza  l'intervento del giudice:
nell'atto  di  citazione  ai  sensi  dell'art. 2 non e' piu' indicata
l'udienza  avanti  al  giudice  ed  il  termine che l'attore fissa al
convenuto   per  la  comunicazione  della  comparsa  di  risposta  e'
stabilito  solo nel minimo, cosi' nella comparsa di risposta ai sensi
dell'art. 4  il  convenuto  puo'  a  sua volta fissare all'attore per
eventuale  replica  un  termine  stabilito  ancora una volta solo nel
minimo,  e  con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la possibilita'
di una replica da parte dell'attore e l'art. 7 la possibilita' di una
controreplica  da parte del convenuto e poi ancora ulteriori repliche
e  controrepliche.  Solo  a  seguito  dell'istanza  di  fissazione di
udienza  di cui all'art. 8 interviene il giudice, in un momento pero'
in  cui  sia  il thema decidendum che il thema probandum si sono gia'
definitivamente  formati, quindi totalmente al di fuori del controllo
del  giudice,  il  quale tra l'altro solo in un secondo momento, e in
teoria   anche   dopo   moltissimo  tempo  dalla  notifica  dell'atto
introduttivo,  ha  la possibilita' concreta di verificare l'eventuale
invalidita'  dell'atto di citazione e/o della notifica, la necessita'
di integrare il contraddittorio, e tutti questi aspetti preliminari.
    Inoltre, a differenza di quel che accade nel rito del lavoro e in
quello  delineato  dalla  riforma  del  '90, ove secondo la dominante
interpretazione  giurisprudenziale  il  giudice, d'ufficio, proprio a
tutela della «durata ragionevole del processo», verifica le eventuali
preclusioni di merito e/o istruttorie, il d.lgs. n. 5/2003 condiziona
tale  verifica  all'eccezione  di  parte  (artt. 10,  comma  2  e 13,
comma 4).
    Ed  ancora,  la  stessa istanza di fissazione di udienza, con gli
effetti  preclusivi  rilevantissimi  stabiliti  dall'art.  1,  e' uno
strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di
una  sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento
ritenuto piu' opportuno.
    Infine,   va   segnalato   l'art. 13  in  tema  di  contumacia  o
costituzione   tardiva  del  convenuto,  che  al  comma  2  introduce
l'innovativo  principio  (di  cui nella delega non v'e' traccia), per
cui  nel  caso  in  cui  il  convenuto  non  notifichi la comparsa di
risposta   nel   termine   stabilito  o  anche  solo  si  costituisca
tardivamente  «i  fatti  affermati  dall'attore  ... si intendono non
contestati   e  il  tribunale  decide  sulla  domanda  in  base  alla
concludenza di questa».
    Tutte   queste  peculiarita'  confermano  con  chiarezza  che  il
legislatore  delegato,  in  forza di una delega assolutamente carente
sotto  il  profilo  dell'indicazione  di criteri direttivi, ha potuto
creare una disciplina interamente nuova per il processo societario di
cognizione ordinaria, anticipando quel rito ordinario prefigurato dal
testo  redatto  dalla  commissione  ministeriale  per  la riforma del
processo civile (il c.d. «progetto Vaccarella).
    Questo  tribunale  reputa,  appunto,  che  cio'  sia avvenuto per
effetto di una legge di delega priva di reali principi di riferimento
e   limitatasi  ad  indicare  un  unico  vero  obiettivo,  quello  di
«assicurare  una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti»
requisito  tra l'altro nemmeno particolarmente qualificante in quanto
comune a qualsivoglia progetto di riforma del processo civile; ne' lo
stesso   viene   qualificato   dal   riferimento  alla  finalita'  di
«concentrazione del procedimento e riduzione dei termini processuali»
trattandosi  appunto  di  indicazioni  di  massima  con  mera valenza
teorica,  che  finiscono  per  identificarsi  con lo stesso obiettivo
dell'accelerazione  processuale;  cosi'  come evidentemente non hanno
alcun valore delimitativo ed individuante gli altri criteri-guida del
divieto  di  modifica  della  competenza  territoriale e per materia,
della  preferenza  per  la  collegialita'  e della valorizzazione del
ruolo del tentativo di conciliazione.
       Di   conseguenza,  ad  avviso  del  Collegio,  in  quanto  non
manifestamente   infondata   sotto   il   profilo   della  violazione
dell'art. 76  Cost.  per  inosservanza  del  «contenuto minimo» delle
leggi   delega,   va  sollevata  la  questione  di  costituzionalita'
dell'art. 12   della   legge  n. 336/2001  nella  parte  relativa  al
procedimento  ordinario  di  primo  grado  e,  per derivazione, degli
articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003.
    La  questione  e' altresi' rilevante in quanto vertendosi in tema
di  responsabilita'  dell'intermediatore  finanziario  il giudizio e'
stato  instaurata  nelle  forme  previste  dal  d.lgs.  n. 5 del 2003
emanato  in  forza  della predetta legge di delega, e dalla pronunzia
della Corte costituzionale dipende l'applicabilita' dell'intera nuova
disciplina  processuale  alla  controversia  sottoposta  al vaglio di
questo tribunale.
    In  via  subordinata  e  per  l'ipotesi  in  cui la Corte dovesse
ritenere   costituzionalmente   legittimo   l'art. 12   della   legge
n. 366/2001,  questo  collegio  ritiene  che  non  sia manifestamente
infondato  il  dubbio di costituzionalita' degli artt. 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 5
del  2003  per  contrasto  con l'art. 76 della Costituzione in quanto
emanati  eccedendo  dai  principi  e  criteri direttivi dettati dalla
legge n. 366 del 2001.
    Per    evitare    il    sospetto   di   incostituzionalita'   per
indeterminatezza e genericita', si dovrebbe invero compiere lo sforzo
interpretativo   di   leggere   la  legge  n. 366  del  2001  facendo
riferimento  alla  disciplina  del  vigente  processo  di  cognizione
davanti  al tribunale, come contenuta nel libro II, titolo I, c.p.c.,
il  rito  cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e' stato applicato anche
alle  controversie  societarie  e  che il legislatore delegante aveva
come  punto  di  riferimento all'atto della concessione della delega;
sforzo  interpretativo  gia' compiuto da altri giudici ordinari (cfr.
tribunale  Brescia  18  ottobre  2004,  in  atti,  che  ha rimesso la
questione  alla  Corte  costituzionale;  e vedi anche varie ordinanze
della  seconda  sezione  del tribunale partenopeo). La disciplina del
processo  di  cognizione davanti al tribunale contenuta nel codice di
procedura  civile  prevede  che  il  processo si svolga attraverso la
successione  di  piu'  udienze  fisse ed obbligatorie, in particolare
quella  di  prima  comparizione  (art. 180  c.p.c.),  quindi la prima
udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), cui puo' seguire un'udienza
per  la  discussione  e l'ammissione delle prove (art. 184 c.p.c.) ed
eventualmente  un'ulteriore udienza di precisazione delle conclusioni
(art. 189 c.p.c.).
    Se   si   volesse  individuare  una  determinatezza  dei  criteri
direttivi  nella  legge  di delega dovrebbe necessariamente ritenersi
che    il   legislatore   delegante   indicando   il   principio   di
«concentrazione  del  procedimento»  abbia  avuto  come  elemento  di
riferimento  proprio questa scansione prevista nel processo ordinario
vigente,  il  quale,  in particolare, prevede che tra il giorno della
notificazione  della  citazione e quello dell'udienza di comparizione
debbano  intercorrere  termini  liberi non minori di sessanta giorni,
fissa  il  termine  meramente  ordinatorio  di quindici giorni per la
successione  fra  le varie udienze (art. 81 delle norme di attuazione
c.p.c.),  stabilisce  ai  sensi dell'art. 183 c.p.c., quinto comma un
termine  massimo  di  trenta  giorni  per il deposito di memorie e di
altri  trenta  per  le repliche, non stabilisce nessun termine per il
deposito  delle  memorie  istruttorie  ex art. 184 c.p.c. primo comma
seconda parte e prevede il termine di sessanta giorni per il deposito
delle comparse conclusionalli e di venti per eventuali repliche.
    Soltanto  con il riferimento a tali termini potrebbe riempirsi di
contenuto  la  generica  indicazione  del  legislatore  delegante del
principio   di  «riduzione  dei  termini  processuali».  Solo  questa
lettura,   estremamente  riduttiva  e  per  questo  proposta  in  via
subordinata,   dei   principi   fissati   dal  legislatore  delegante
consentirebbe  di  evitare  il  su citato dubbio di costituzionalita'
dell'art. 12  della legge n. 366 del 2001. E', pero', evidente che in
questo  caso  l'articolato  contenuto negli artt. da 2 a 17 d.lgs. 17
gennaio 2003, n. 5, con cui si e' inteso dare attuazione alla delega,
contrasterebbe  con  i principi fissati dal legislatore delegante per
«eccesso  di  delega»  alla luce della caratteristiche del nuovo rito
societario  come gia' sopra sintetizzate. L'operazione effettuata dal
decreto  legislativo  non  e'  stata, infatti, quella di prevedere un
rito  concentrato  rispetto  all'attuale  rito ordinario disciplinato
dagli  artt. 163  ss.  c.p.c.,  bensi'  quella,  lo  si ribadisce, di
introdurre nell'ordinamento un modello processuale del tutto diverso,
anticipatorio  di  quello  prefigurato nel «progetto Vaccarella», nel
quale,  in particolare «scompaiono» le prime due udienze dell'attuale
processo ordinario, sostituite da una fase preliminare di definizione
del  thema  decidendum  sottratta all'intervento giudiziale e rimessa
solo  alla  disponibilita'  delle  parti, legittimate a chiudere tale
fase  notificandosi rispettivamente l'istanza di fissazione d'udienza
e  uniche  abilitate  a  rilevare  l'eventuale inammissibilita' delle
altrui  istanze,  istruttorie  e di merito (artt. da 2 ad 10). Appare
impossibile  non  vedere  in questa «degiurisdizionalizzazione» della
fase  introduttiva,  con  un  intervento  del  giudice essenzialmente
rivolto  solo all'istruzione e alla decisione della causa, una vera e
propria «rivoluzione» di una struttura processuale ormai consolidata,
e non una semplice «accelerazione» e «concentrazione processuale».
    Vi  e'  poi  l'assoluta  novita'  della ficta confessio di cui al
citato  art. 13,  d.lgs. n. 5/2003, norma che e' vero che accelera il
processo  evitando  l'istruttoria in caso di costituzione tardiva del
convenuto,  ma e' nondimeno vero che oltre a tale effetti ne realizza
altri,  non  indicati  nemmeno  implicitamente nella legge delega: si
introduce  infatti  una novita' assoluta nell'ordinamento processuale
italiano,  sinora  restio  a  dare  significativita'  alla contumacia
(tranne  l'ipotesi  che  sara'  subito  esaminata),  e  si  introduce
sostanzialmente  una  nuova  prova  legale,  la non contestazione del
convenuto  costituitosi  in ritardo (che e' cosa ben diversa rispetto
alla  non  contestazione del soggetto che, costituendosi, non impugna
alcuni  fatti  dedotti  ex adverso ovvero svolga difese incompatibili
con  la  contestazione  di alcuni fatti). Ebbene, la legge delega non
contiene alcuna direttiva o indicazione sul punto e a maggior ragione
non  la  contiene  ove  rapportata  all'attuale  assetto processuale,
poiche' al silenzio della legge delega fa da contraltare la negazione
da   parte  dell'ordinamento  attuale  di  qualsivoglia  valore  alla
contumacia   (ad   eccezione   del   disconoscimento  tacito  di  cui
a1l'art. 215  n. 1  c.p.c.,  che  peraltro  resta neutralizzato dalla
successiva  costituzione  con  disconoscimento, con un meccanismo ben
diverso da quello dell'art. 13, d.lgs. n. 5/2003).
    Oltre  agli  eccessi  di delega appena evidenziati, il nuovo rito
societario  prevede norme che, viceversa, sembrano porsi in contrasto
con l'idea di accelerazione processuale propugnata dall'art. 12 della
legge n. 366/2001.
    Ed  infatti, si e' detto che il d.lgs. n. 5/2003 prevede una fase
introduttiva priva di controllo giudiziale e al contempo articolata e
complessa,  che puo' svolgersi con un «ping-pong» di atti, repliche e
controrepliche  (artt. 2  a 7) che finisce col rendere sovrabbondante
la  fase  introduttiva,  sicuramente  non  meno  dell'assetto attuale
contraddistinto,   nella   peggiore   delle   ipotesi,   dagli   atti
introduttivi,  dalle due udienze ex artt. 180 e 183, dalle memorie ex
art. 180  e  183  ult. comma c.p.c. Si e' altresi' detto che il nuovo
rito  esclude  l'intervento  officioso  del  giudice  per rilevare le
preclusioni  e  decadenze istruttorie e di merito (artt. 10 comma 2 e
13  comma  4)  e  prevede poi che il giudice verifichi la regolarita'
della  notifica  dell'atto  di  citazione  o  l'eventuale  assenza di
litisconsorti  necessari  solo  al  momento  in  cui la causa gli sia
presentata  con la richiesta di fissazione d'udienza (art. 12, ultimi
commi).
    Sul  primo aspetto, si e' gia' implicitamente evidenziato come la
fase  introduttiva, per come delineata dal d.lgs. n. 5/2003, non pare
idonea  a  snellire  i  tempi del processo; ne' vale obiettare che si
tratta  di  una  fase  pregiudiziale, in quanto la causa non e' stata
ancora sottoposta al giudice, dal momento che il giudizio, per regola
generale,  sorge  con  la  notifica dell'atto di citazione, ossia con
l'instaurazione    del   contraddittorio,   mentre   e'   irrilevante
l'«assenza»  del giudice, alla luce della stessa giurisprudenza della
Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo secondo cui nel computo della
durata complessiva di un processo civile deve essere ricompresa anche
il  periodo  impiegato  per  lo  scambio  degli  atti  tra  le  parti
precedente  l'istanza  di  fissazione dell'udienza (CDEU, II sez., 29
luglio  2003,  Price  e  Lowe  contro Regno Unito, in Giur. it. 2004,
487).
    Quanto  agli  altri  due  punti,  e'  pacifico  che  l'intervento
officioso  del  giudice  sia  ritenuto  dalla  giurisprudenza, sia di
legittimita'  che  di  merito,  insito nel novella del '90, attesa la
portata  della  riforma,  volta  a  realizzare  l'interesse di ordine
pubblico   (e   quindi   indisponibile  per  le  parti)  alla  rapida
definizione  dei  procedimenti.  Ne  deriva  giocoforza che rimettere
nuovamente  alle  parti  la  decisione  di  valutare  l'ingresso  nel
processo  di  domande,  eccezioni  o istanze istruttorie tardive puo'
incidere  negativamente  sui  tempi  del processo, destinato a durare
piu'  a  lungo  se  le  parti  accettino il contraddittorio su simili
domande, eccezioni, istanze tardive.
    Ugualmente   e'   pacifico  che  sia  l'invalida  notifica  della
citazione   sia   l'assenza   di   tutti  i  litisconsorti  necessari
costituiscono  vizi  che,  se  accertati  solo  in sede di udienza di
discussione,   all'esito  della  fase  introduttiva  «fuori»  udienza
comportano   notevoli   ritardi   processuali,  nella  prima  ipotesi
addirittura  con  una  naturale  regressione  del  processo alla fase
introduttiva,  prima  dell'inizio di quel «ping-pong» di notifiche di
atti  tra  le parti che puo' durare anche molto tempo. Ed e' evidente
che  la soluzione prescelta dal legislatore delegato comporta effetti
«deceleratori»   rispetto   alla   situazione  fisiologica  del  rito
attualmente  vigente,  in  cui  il giudice immediatamente, alla prima
udienza,  e' tenuto a simili verifiche preliminari, eliminando subito
il  vizio  senza  eccessivi ritardi se non quelli legati ad una nuova
udienza  di  comparizione  coi  termini  per  la regolarizzazione del
contraddittorio.
    Quindi, per le menzionate disposizioni degli artt. 2-7, 10, comma
2,  13,  comma 4 e 12 ultimi commi, sempre qualora di accolga la tesi
subordinata  della determinatezza della legge delega siccome riferita
all'attuale  assetto  processuale,  vi  e' l'ulteriore sospetto di un
vizio  non  solo  di  eccesso di delega, ma anche di contrasto con la
legge  delega.  L'intera struttura del rito societario viene, quindi,
ancora piu' messa in discussione.
    Sul  punto  della inosservanza della legge delega (sia in termini
di  eccesso  che  di  contrasto),  vi e' altresi' da precisare che la
questione  e'  e resta aperta nonostante il rito societario sia stato
ormai  «esportato»  prima nelle controversie in materia di proprieta'
industriale  (art. 134, comma 1, d.lgs. n. 30/2005) e poi addirittura
in  tutte le controversie, con l'introduzione dell'alternativita' col
rito  vigente  stabilita  dall'art.  70-ter  disp.  att. c.p.c. quale
introdotto   dalla   recentissima   legge  di  conversione  al  «D.L.
competitivita'  (legge  14  marzo 2005, n. 80). Invero, al di la' del
fatto  che  l'art.  70-ter  disp.  att. c.p.c., secondo la previsione
dell'art.  3-quater  della  legge  di conversione, entrera' in vigore
solo  il  12  settembre  2005,  non  rileva  in  questa  sede  che il
legislatore  ordinario,  ossia  il  Parlamento, con questi interventi
abbia in pratica legittimato» le scelte del d.lgs. n. 5/2003 rispetto
alla  legge  delega n. 366/2001, perche' tale legittimazione e' stata
solo  in fatto, non essendosi avuta un'iniziativa volta a trasformare
in  legge  «formale»  la legge «materiale» emessa in violazione della
legge  delega  (come  ad  esempio  e'  accaduto  con  l'art. 7, legge
n. 205/2000,  che ha sostituito gli artt. 33 e 34, d.lgs. n. 80/1998,
viziati da eccesso di delega), ma solo una mera applicazione del rito
societario,  nella sua attuale configurazione, ad altre controversie,
senza  alcuna  ratifica formale di detto rito societario in relazione
alle  controversie  societarie,  che  sono appunto quelle oggetto del
d.lgs. n. 5/2003.
    Anche   la   questione   di  costituzionalita'  proposta  in  via
subordinata  e' rilevante ai fini del presente giudizio per le stesse
ragioni  indicate  per la questione proposta in via principale. Oltre
al  sospetto  di  incostituzionalita' dell'intero rito di cognizione,
coi conseguenti dubbi di applicabilita' nel suo complesso della nuova
disciplina,  va  poi ricordata la particolare rilevanza pratica della
questione   di   costituzionalita'   rispetto   all'art.  13,  d.lgs.
n. 5/2003,  invocato  nei  suoi  effetti  dagli attori a fronte della
tardiva costituzione del MPS.
    Tanto premesso in fatto e diritto, va disposta la sospensione del
presente   giudizio   e   la   trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale  per  la  decisone  sulla  questione  pregiudiziale di
legittimita'  costituzionale,  siccome rilevante e non manifestamente
infondata.   Alla  cancelleria  vanno  affidati  gli  adempimenti  di
competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.